Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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Spunti per delle alternative di pensiero, per Alberto Carraro


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Spunti per delle alternative di pensiero [1]

Alberto Carraro[2]

Questo libro dal titolo poco commerciale: Pedagogia istituzionale e gruppi, costituisce il resoconto di una vita passata nelle aule di scuola per mettere a punto un modello di insegnamento/apprendimento che aprisse la via al rinnovamento del sistema scolastico. Vi si richiama l’apparato teorico e l’esperienza dei Gruppi Operativi, che si ricollega alla formazione in gruppo con Armando Bauleo.

Mi permetto di segnalare la necessità che gli insegnanti che iniziano l’esperienza professionale con le classi di allievi, abbiano a loro volta sostenuto un training di formazione in gruppo. Forse oggi si stanno ripresentando le condizioni per una nuova stagione di impegno tra quei docenti che volessero ripensare la propria formazione teorica e tecnica.

Insegnare consiste in una serie di operazioni che, per essere equiparate a una professione, hanno bisogno di venire ripulite dalla crosta che tradizionalmente si è accumulata nel portare a compimento un compito docente in modo ripetitivo e dissociante.

Colui che apprende all’interno di un contesto formativo, lo studente, va reso partecipe delle condizioni che rendono possibile la conoscenza. Insegnare non può essere identificato e confuso con un compito amministrativo né si qualifica come un asettico tramandare nozioni che, in sintesi, costituisce il paradigma della dipendenza. L’insegnante, in classe, deve riuscire a mettere le condizioni perché si possa avviare un processo di apprendimento e creare una situazione di perenne movimento della soggettività degli allievi.

In ogni caso, dentro le aule della scuola si applica un modello: questo modello può essere tramandato per tradizione e dunque inconsciamente come se non ci fossero delle alternative, oppure consapevolmente esplicitato in modo nuovo e diverso. Noi partecipiamo un modello attraverso il quale gli studenti siano portati al riconoscimento e all’elaborazione del legame con il gruppo, con il compito e con l’insegnante. Per questo principale motivo viene costruito l’inquadramento nelle costanti di spazio, tempo funzioni e compito. Si evita in questo modo di rimanere ad aspettare che vengano occultate tutte le emozioni che suscita accostarsi a una cosa nuova, come lo sono gli argomenti di studio. Questa esclusione rischia di succedere quotidianamente nelle aule scolastiche.

Educare consiste nell’accettare di mettere alla prova le risorse di ciascuno, più che far rispettare delle regole di comportamento dettate dal perbenismo e dal buon senso, cioè provenienti dall’esterno. Gli studenti che non sono bravi, che non riescono con successo preferiscono dire che non gliene frega niente della scuola.

Qualsiasi apprendimento apporta nuovi elementi nella costruzione del sé, soprattutto durante i cambiamenti cruciali come all’inizio del percorso scolastico (3/6 anni) quando si verifica un passaggio determinante dall’ambito della vita familiare alla scuola o durante il periodo dell’adolescenza in cui sono in gioco grandi trasformazioni. Grazie al compito di apprendere possiamo pensare lo studente come un giovane che risponde a una chiamata alle armi: deve essere in grado di poter affrontare vari nemici (gli stereotipi) in un terreno insidioso (quello della ripetizione). Per questo è necessario avere un modello col quale confrontarsi. L’adulto (genitore o insegnante) deve sapere farsi carico di questa complessità altrimenti perde la propria funzione.

Gli allievi vanno aiutati a implicarsi nel processo dell’apprendimento non solo perché i genitori li hanno mandati a scuola, ma perché accettino la responsabilità di prendere in mano la loro vita.

Il lavoro quotidiano a scuola

Quando entro in classe fin dal primo giorno so che mi posso aspettare di tutto: si configura così, semplicemente, la modalità per entrare nel circuito della ricerca. È sempre appassionante, perché si può benissimo partire con un’intervista sui motivi per i quali gli studenti presenti hanno deciso di frequentare la scuola, si possono raccogliere le aspettative, i desideri, il progetto di futuro che si lega con gli studi che si accingono a compiere … In questo senso il professore si trova nella condizione di aspettarsi qualsiasi cosa, compreso il fatto che, in quel modo, si comincia a rompere la complicità che l’unico a sapere sia proprio lui. Se l’argomento di studio diventa il compito del gruppo, anche il professore si troverà nella condizione di imparare qualcosa che non conosce, ad esempio gli effetti che un’informazione produce all’interno di un gruppo. Agli studenti va esplicitamente chiesto, all’inizio del contratto, che cosa si aspettino dal lavoro che si accingono a cominciare: le loro risposte costituiscono un punto di riferimento imprescindibile per tutta la durata dell’anno scolastico. È un caso di bipolarità perché anche gli studenti vanno messi in condizione di aspettarsi qualsiasi cosa.

Letteratura e insegnamento

Il corso di letteratura si alimenta di dialogo continuo nel senso che il mio compito di professore è quello di coordinare un gruppo di apprendimento in letteratura italiana o latina. È importante muoversi intorno al vincolo che lega gli allievi al compito, al professore, al gruppo. Trascurare questi elementi significa entrare nel circuito della ripetizione. Il piacere di apprendere è legato al riconoscimento dei legami con gli avvenimenti personali, con la storia, con le persone con cui si è in relazione. Va coltivato un atteggiamento di dimestichezza con il proprio mondo interno, giocare, non aver paura di dire ciò che si pensa…

La passione per la letteratura nasce quando si comincia ad avere la percezione che sulle persone, gli animali, i vegetali, le cose, sul mondo si possono avere delle idee e che l’esperienza del proprio mondo interno può essere raccontata. Grazie a queste condizioni è in grado di nascere l’interesse per la lettura, come se si scatenasse la ricerca di qualche autore particolarmente interessante che, attraverso la scrittura, sia riuscito a trasformare l’esperienza in racconto. La vera letteratura sarebbe una prova multidimensionale dell’attitudine a esprimere quel viaggio che caratterizza ogni settore della conoscenza, soprattutto da quando il sapere è stato parcellizzato e ridotto a serie di microcosmi disciplinari. La seduzione esercitata da certi autori, come Omero, è di grado elevatissimo perché riescono a far percepire direttamente l’importanza del proprio racconto, ovvero della rappresentazione del mondo che sono riusciti a porgere ai lettori. Non a caso cito un autore collettivo per antonomasia perché testimone di un’epoca nella quale il mito costituisce la formazione del tessuto comunicativo sociale dell’azione comunitaria nelle sue più svariate sfaccettature. La curiosità di leggere, dunque, non sarebbe altro che il tentativo di attingere a quell’esperienza del mondo che gli autori sono riusciti a esternare in modo compiuto. Se una persona non avesse tanta curiosità per la lettura, si troverebbe nella condizione di chi è troppo impegnato a darsi una ragione di un mondo, quello in cui vive, che appare troppo complicato per riuscire a trovarne almeno una sintesi generale. Troppa complicazione produce ansia e quindi la curiosità per la lettura devia per la tangente del “mi manca proprio il tempo per leggere”. Non è detto, comunque, che nella lettura si trovino soluzioni ai problemi.

Quando si affronta lo studio di Dante viene spesso chiaro quanto la stessa tradizione critica riesce ad occultare. Facciamo l’esempio di Paolo e Francesca da Rimini: bisogna esplicitare che Paolo è fratello del marito di Francesca e dunque non si può continuare a insistere nel dipingere un mondo semplice di affetti spontanei e freschi, dell’innamoramento, della passione, fatti sfumare da un gobbo e decrepito marito senza fantasie che combina il malaffare di condannare tutti a morte… (da ampliare)

A scuola non si deve mai perdere la suggestione di pensare a un mondo diverso, difforme da quello che la cultura dominante induce a raffigurarci.

Per creare un setting produttivo nell’insegnamento, bisogna che diventino chiari i riferimenti e la diversità delle funzioni. Nel gruppo di apprendimento uno esercita la funzione di informatore, un altro coordina e un altro ancora funge da osservatore. Si inizia così a dare concretezza e visibilità alle condizioni dell’apprendimento, quelle stesse condizioni che procurano al contesto di apprendimento una valenza formativa.

A partire dagli anni ’60 del ‘900, la crisi della scuola assume un chiaro profilo di inadeguatezza rispetto alla realtà storica e sociale dei decenni successivi. Dire che quella di allora fosse una buona scuola non significa gran che. Si può anche pensare che fosse una cattiva scuola dal momento che, allora come ora, ignorava ed ignora quasi tutto dell’oggetto gruppo, dell’oggetto istituzione e dei processi di apprendimento.

Delineare il cambiamento necessario alla scuola

La scuola pubblica si è formata raggruppando un numero di allievi consono ad un criterio di convivenza produttiva alquanto approssimativo e banale, fondato su di una selezione di merito(?), arrivando a stabilizzare il numero di allievi per classe in una dimensione standard di 20/30 allievi. Per essere aderente al presente, la scuola deve adeguare la propria identità istituzionale sulla funzione educativa e formativa. Qual è dunque il suo compito? È possibile pensare ad un’unica metodologia di insegnamento? Quale schema di riferimento utilizzare?

Con scuola intendiamo istituzione-scuola cioè un gruppo di gruppi (docenti, personale amministrativo, ausiliari, studenti, genitori) che ha come compito la formazione. Il processo del cambiamento nella scuola può essere avviato con una nuova forma di coordinamento dei gruppi in relazione al compito di insegnamento/apprendimento.

L’equivoco consiste nel continuare a credere e a far credere che l’istituzione sia sempre limitativa delle libertà individuali e che, innanzitutto, sia fondamentalmente esterna. Si evita di cogliere i limiti interni della funzione docente nei modi in cui viene solitamente esercitata. Quando il sapere viene istituzionalizzato, gli studenti perdono in soggettività e in creatività, le informazioni rimangono statiche, le lezioni sono inevitabilmente ripetitive e la verifica dell’apprendimento condotta in modo formale, anche se burocraticamente efficace: sterile per i singoli e per l’intera comunità scolastica e universitaria.

Per realizzare il tanto enfatizzato (a parole) cambiamento della scuola, il sovvertimento progressivo della situazione attuale va operato sulla struttura educativa nel suo complesso in modo programmatico e consapevole, partendo dal fatto che oggi non esiste alcuna differenza metodologica apprezzabile fra ordini di scuola. In tutti gli istituti si utilizza un sistema organizzativo in grado di equipararsi a quella che ho definito fabbrica della dipendenza. La crisi di senso della scuola? L’assenza di una professionalità del personale docente circa la funzione di coordinamento dei gruppi, la mancanza di libertà nella ricerca e la mancanza di autonomia degli istituti.

Che cosa deve insegnare la scuola?

A scuola si va per apprendere, innanzitutto, un metodo per pensare, costruito sulla base delle conoscenze linguistiche, disciplinari e di relazione che ogni allievo possiede. Questa indicazione generale vale per tutti gli ordini di scuola, dalla materna all’università. Una formazione della consapevolezza individuale rispetto agli strumenti di pensiero e al bagaglio di conoscenze ed abilità a propria disposizione avrà modo di ampliarsi nel corso degli anni, man mano che i soggetti avranno l’opportunità di essere messi a confronto con la propria vocazione e le opzioni particolari che è possibile incontrare quando ci si mette in un’ottica di progettazione del futuro.

La differenza tra i soggetti va inquadrata e compresa nella vita di relazione. La quantità di nozioni possedute dagli studenti ha avuto un senso fin quando la si è inquadrata in un contesto valutativo e la si è verificata di conseguenza (interrogazioni e compiti in classe). L’esercizio critico e l’organizzazione del pensiero sono qualità personali che mettono alla prova la capacità di trasformazione del reale attraverso i contributi delle tecnologie (conoscenza linguistica in primis). La quantità di conoscenze letterarie, filosofiche e scientifiche con i relativi collegamenti, citazioni, confronti e giudizi, sono sempre più importanti nel costruire i sistemi di riferimento del pensiero. Le tecniche assimilate (serva quella analitica come esempio di riferimento) mettono assai meglio in evidenza la dotazione strumentale necessaria per affrontare le disparate situazioni dell’esistenza quotidiana.

All’inizio di un percorso formativo, conta la capacità di riflettere sull’armamentario linguistico e relazionale di cui si è in possesso, perché, dal punto di vista teorico, è quello il cuore del sistema di riferimento tecnico del pensiero. Non serve il docente a dettare le lezioni, caso mai il docente è la guida nel percorso dell’apprendimento dato che la sua attenzione è relativa al fatto che il gruppo resti coerente con il compito, segnalando e interpretando il compito latente, cioè i momenti in cui il gruppo devia su altre strade perché profondamente influenzato dall’eredità di schemi di riferimento pregressi.

Almeno nel primo decennio della formazione (scuola primaria, e secondaria di primo grado), l’acquisizione degli strumenti cognitivi di base è ottenuta con diversi standard a seconda dei paesi. Da un punto di vista quantitativo le cose possono variare, (si narra dei metodi ferrei di controllo della serialità nozionistica portata avanti dai maestri cinesi), ma lo scopo di alfabetizzare gli allievi è ottenuto quasi sempre e quasi dappertutto con un massiccio lavoro di imposizioni nozionali da mandare per lo più a memoria con l’ausilio di pochi passi di una stringente logica elementare che si viene addestrati ad utilizzare sommariamente come profilo di autovalutazione.

Le forme di educazione, dunque, sono esse stesse cultura e l’attenzione al compito è tutta interna al castello di costruzioni procedurali come possono essere le operazioni di calcolo aritmetico o le sequenze grammaticali e sintattiche. Il rispetto delle regole è un esercizio puramente formale, esterno e applicativo. La sequenza di dati che ne scaturiscono non viene, di regola, mai convertita o elaborata sui parametri di riferimento del mondo interno, come educazione ad un lavoro di riflessione sull’esperienza e di superamento dell’analfabetismo affettivo.

La considerazione della soggettività e il continuo riferimento ai contenuti di apprendimento proposti configura il compito dell’insegnamento. L’ambito di riscontro della relativa problematica è quello gruppale. Nel contesto storico attuale, la classe si presenta, agli occhi del maestro o meglio del coordinatore di gruppo, come una sequenza di dati relativi ai modi di essere che la società permette. Il compito della scuola come istituzione, per il tramite dell’insegnante, dovrebbe essere quello di dotare gli studenti di un apparato strumentale utile a contenere le varie situazioni in cui ci si viene a trovare, allo scopo di fornire un proprio contributo di adattamento e/o trasformazione. L’addestramento avverrebbe, quindi, non sulla base della verifica di assimilazione delle nozioni teoriche, basate su tecniche conformate in apparati descrittivi e ripetitivi, bensì nel conseguimento di presenza e consapevolezza rispetto all’attualità del qui e ora per imparare a riconoscere in presa diretta i riscontri sui modelli di funzionamento delle relazioni interpersonali e con gli oggetti di conoscenza. Si punta a verificare in tempo reale la rispondenza minima che solitamente i gruppi spontanei tendono ad attribuire al gruppo attuale, evidenziando la preferenza nel seguire i modelli appresi nei transiti gruppali precedenti, quelli che tendono a lasciare il segno nei comportamenti e nel pensiero. Non si tratterebbe quindi di distinguere una volta per sempre quello che deve essere accettato da quello che va rifiutato, quanto di trovare un metodo di analisi e comprensione della realtà. A questo deve corrispondere il compito primario dell’educazione, pur mantenendo fermi i riferimenti alla sequenza tradizionale dei programmi di alfabetizzazione. La separazione tra materie umanistiche e materie scientifiche è destinata a rimanere senza significato tecnico né teorico.

La Concezione Operativa di Gruppo

In poche parole, i valori che contano sono la capacità dei soggetti di vivere e di pensare non da assoggettati. Per ottenere questa rivoluzione copernicana è necessario che la scuola sia un’istituzione che opera come un gruppo di gruppi attraverso un inquadramento consono alla richiesta latente da parte degli iscritti di imparare a pensare.

Se la mission è rappresentata da questa funzione, si capisce che non esiste una differenza tra cultura umanistica e cultura scientifica: quando si studiano materie scientifiche e tecnologiche diventa prioritario per i gruppi dotarsi degli strumenti indispensabili per portare a termine dei progetti. Ma l’aspetto formativo globale dipenderà dalle possibilità che gli allievi hanno avuto nel corso degli studi di conoscere se stessi, le proprie modalità di pensiero, la relazione con l’altro-da-sé (individuo o oggetto di studio), e avere avuto costantemente presente la prerogativa personale di operare delle scelte.

Quando si arrivano a possedere questi riferimenti, si può avere la certezza che le cose potranno funzionare anche nella costruzione del profilo di una nuova etica. È indispensabile che, per capire e conoscere il funzionamento dei gruppi, i docenti possano far riferimento ad una formazione specifica in gruppo con un compito di apprendimento. In questo modo si capovolge il criterio della formazione. Nella nuova proposizione l’aspetto tecnico diventa una riparametrazione del campo con l’introduzione di nuove categorie come compito/manifesto, compito/latente, emergente, teoria dell’osservazione, gruppo interno, progetto. Sono i pilastri della Concezione Operativa di Gruppo.

Si ottiene la verifica dell’insegnamento a partire dalla presa in carico e dalla soluzione dei casi problematici, dai conflitti che si generano all’interno dei gruppi, soprattutto in relazione al compito di apprendimento, dalla fiducia dei membri del gruppo che scoprono via via le virtù insite in una metodologia che insiste nel delineare una nuova idea di comunità e mostra che c’è bisogno dell’impegno di tutti per la soluzione dei problemi. Le differenze tra i soggetti mostrano le diverse facce del compito; spesso le difficoltà del compito si rivelano come uno scontro tra le diverse prospettive nel modo di affrontarlo. I problemi per essere trattati e risolti hanno bisogno che sia chiara a tutti la dinamica nella quale sono nati, cresciuti e si sviluppano.

E poi, credo che ci sia un grosso malinteso: gli strumenti di base che presiedono la cosiddetta cultura umanistica, sono strumenti assolutamente tecnologici a partire dalla buona padronanza dei meccanismi della lingua della comunicazione e dei linguaggi specifici. L’apertura della scuola al futuro significa che essa si fa carico, per averlo elaborato nei luoghi di produzione, di un compito formativo delle nuove generazioni improntato sulla prospettiva di mettere i giovani a conoscenza del proprio mondo interno, attraverso il loro modo di comunicare e di interagire, rilevando le differenze, a partire dalla conoscenza di quanto è stato maturato all’interno della famiglia di provenienza. La provenienza (familiare) e l’attualità della situazione scolastica sono due contesti differenti per missione e compiti. Spesso capita di osservare che i giovani paiono quasi irresistibilmente attratti da circuiti alternativi (gruppi di amici, di sodali, luoghi di richiamo che ritengono anticonformisti, ecc.) dove sembrerebbero in maggiore evidenza le qualità positive del rifugio dalle contaminazioni istituzionali e sociali, famiglie comprese.

Il fatto è che il percorso che porta all’apprendimento degli strumenti necessari per mettere a punto un modo di pensare produttivo e funzionale alla conoscenza della complessità è lungo e irto di insidie, più di qualsiasi altro pacchetto formativo che finora si è limitato a utilizzare e fornire il sistema della pedagogia tradizionale.


 

[1] El libro “Pedagogia istituzionale e gruppi. Contro la fabbrica della dipendenza” fue presentado en Madrid, el 21 de noviembre de 2015, en un acto organizado por las asociaciones APOP y Área 3.

[2] Alberto Carraro ha sido profesor de materias literarias y de latín en Liceo.

 

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